Alla vigilia della Giornata mondiale dell'alimentazione e con la COP30 alle porte (10–21 novembre a Belém, Brasile), Slow Food torna a farsi sentire: se non si cambia radicalmente il modo in cui il cibo viene prodotto, distribuito e consumato, non c'è alcuna possibilità di vincere la battaglia contro la crisi climatica. Il messaggio è chiaro: la transizione alimentare è una condizione necessaria per la transizione ecologica.


Il cibo come chiave dell'azione climatica

Nella lettera inviata al ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e firmata da Barbara Nappini, Edward Mukiibi e Carlo Petrini, Slow Food chiede all'Italia e agli altri governi di mettere i sistemi alimentari al centro dei negoziati climatici.«La crisi climatica è anche una crisi sociale e agricola – spiega Nappini –. I modelli produttivi dominanti distruggono suoli, acqua e biodiversità, concentrano potere economico e producono ingiustizia. Serve un governo etico del cibo che garantisca diritti e dignità a tutti gli esseri viventi».Il presidente internazionale di Slow Food, Mukiibi, è ancora più netto:«Oggi il cibo è l'anello mancante nel dialogo politico sul clima. Non bastano promesse: vogliamo azioni concrete. Il cibo è parte del problema, ma può essere anche la soluzione».

Oltre i combustibili fossili: l'agroecologia come unica strada

Il nuovo rapporto EAT-Lancet lo dice senza mezzi termini: anche se il mondo smettesse domani di usare petrolio e gas, gli attuali sistemi alimentari basterebbero da soli a far superare all'umanità il limite di 1,5°C stabilito dall'Accordo di Parigi.

Slow Food chiede quindi che la COP30 non sia l'ennesima passerella di buone intenzioni, ma un punto di svolta reale. Le sue richieste ai governi sono precise:

  • Promuovere l'agroecologia e fermare l'industrializzazione dell'agricoltura.
  • Riconoscere la sovranità alimentare come leva climatica, rifiutando le false soluzioni come le compensazioni di carbonio.
  • Riorientare la finanza climatica: i 1.300 miliardi di dollari previsti entro il 2035 devono servire all'agroecologia, non ai fossili.
  • Garantire il diritto universale al cibo, sano, nutriente e legato alle culture locali.
  • Eliminare fertilizzanti sintetici e pesticidi fossili, causa diretta di inquinamento e perdita di biodiversità.
  • Difendere i sistemi alimentari locali, riducendo gli sprechi e valorizzando le filiere corte.

Tutte queste proposte sono state firmate da oltre cento organizzazioni internazionali, in un fronte comune che lega ambiente, salute e giustizia sociale.

 
Italia 2025: la crisi climatica non è un'allerta, è già realtà

Mentre si discute di obiettivi e strategie, la crisi climatica sta già colpendo duramente l'agricoltura italiana.
Il WWF Italia, con la campagna Our Future, ha fotografato un Paese in ginocchio di fronte a eventi estremi diventati la norma: ondate di calore, siccità, gelate improvvise e grandinate devastano raccolti e redditi agricoli.


Temperature da record e agricoltura in sofferenza

Il 2025 conferma il trend: il primo trimestre ha registrato un'anomalia di +1,67°C, mentre giugno è stato il secondo più caldo di sempre, con +3,02°C sopra la media. L'estate ha consolidato un caldo anomalo e persistente, con ondate di calore storiche in tutto il Paese.

Le conseguenze? Produzioni in calo, qualità compromessa, prezzi alle stelle.

 
Settori agricoli in crisi: dal latte alle ciliegie

Latte: secondo l'ISMEA, la produzione è calata dell'1% in Europa e fino al 15% in Lombardia, con perdite di 1,8 milioni di litri al giorno. Lo stress termico riduce la produttività delle vacche e i danni durano settimane.

Ciliegie pugliesi: raccolti crollati fino al 100% in alcune aree, con prezzi al consumo schizzati a 23 euro al chilo.

Mandorle e nocciole: produzione -60%, prezzi +20%.

Miele: primavera disastrosa, produzione quasi azzerata.

Pere, pesche e albicocche: cali del 20–25%, agricoltori sempre più scoraggiati e superfici in diminuzione.

Questo fenomeno, ormai strutturale, ha anche un nome: climate inflation o climateflation — l'aumento dei prezzi alimentari causato dagli effetti economici del cambiamento climatico.
Chi paga il conto? I consumatori, soprattutto i più fragili, costretti a rinunciare a frutta e verdura di qualità.

 
Le (poche) buone notizie: olio, vino e frutta tropicale

Non tutto è nero.
Il comparto olivicolo mostra un recupero del 30% rispetto al 2024, trainato da Sud e Isole.
Il vino vive una vendemmia equilibrata e di buona qualità grazie all'adattamento dei viticoltori.
E, paradossalmente, il riscaldamento globale sta favorendo nuove colture tropicali: mango, avocado e papaya crescono ormai stabilmente in Sicilia, Puglia e Calabria, dove si inizia persino a esportare verso il Nord Europa.

Un segnale chiaro: il clima sta riscrivendo la geografia agricola del Paese.

 
Soluzioni: ricerca, agroecologia e uso intelligente delle risorse

Ricercatori e aziende stanno puntando su varietà più resistenti, colture meno idroesigenti e pratiche rigenerative.
Ma non bastano sperimentazioni isolate: serve una strategia nazionale integrata che unisca economia circolare, agricoltura biologica, innovazione e recupero idrico.«Solo così – afferma Eva Alessi, responsabile sostenibilità WWF Italia – potremo costruire un'agricoltura resiliente, competitiva e capace di garantire cibo di qualità senza distruggere il pianeta».
 
Una minaccia per la salute e per la giustizia sociale

L'aumento dei prezzi dei prodotti sani — frutta, verdura, legumi, cereali integrali — rende sempre più difficile seguire una dieta equilibrata, aggravando il rischio di malattie croniche.
La dieta della salute planetaria EAT-Lancet 2025 dimostra che cambiare alimentazione può ridurre fino al 70% il rischio di patologie cardiometaboliche, ma per molte famiglie diventa economicamente impossibile.

Il risultato? Un'ingiustizia sanitaria e sociale che si aggiunge alla crisi ambientale.

 
Le scuse sono finite

Il quadro è chiaro. Il clima sta cambiando, e il sistema alimentare è parte del problema quanto della soluzione.
Le richieste di Slow Food e WWF non sono utopie da ambientalisti, ma necessità di sopravvivenza collettiva.
Senza una svolta politica, la “crisi climatica” smetterà di essere una minaccia futura e diventerà la nuova normalità – fatta di raccolti distrutti, cibo caro e salute a rischio.

È ora che i governi “guardino la luna e non il dito”, come dice Slow Food: perché il tempo delle mezze misure è finito.



Crediti immagini: © David Bebber - WWF-UK