La decisione del primo ministro ungherese Viktor Orbán di classificare l’“Antifa” come organizzazione terroristica segna un salto di qualità nella strategia dell’estrema destra europea. Non si tratta di sicurezza, ma di politica: ridefinire il dissenso come minaccia all’ordine pubblico.

Le dichiarazioni di Orbán hanno avuto un bersaglio preciso: l’eurodeputata italiana Ilaria Salis. Non è un dettaglio che il portavoce governativo Zoltan Kovacs sia arrivato a diffondere le coordinate del carcere dove era stata detenuta. Un gesto che, in qualsiasi contesto democratico, verrebbe letto come intimidazione diretta a un rappresentante eletto.

L’Olanda segue l’Ungheria
La linea ungherese non è isolata. Nei Paesi Bassi, la Camera bassa ha approvato una mozione proposta da Geert Wilders per includere l’“Antifa” nella lista delle organizzazioni terroristiche. A sostegno non solo l’estrema destra, ma anche i liberali del VVD. È la conferma di un progressivo spostamento dell’asse politico, con partiti di governo che finiscono per accodarsi a logiche securitarie dettate da Wilders.

Bruxelles di fronte al caso Salis
Il 23 settembre la Commissione JURI del Parlamento europeo sarà chiamata a decidere sulla revoca dell’immunità parlamentare di Ilaria Salis. Il relatore, lo spagnolo Vazquez Lazara del PPE, ha già espresso parere favorevole alla richiesta ungherese. Per il Partito popolare europeo la questione è delicata: assecondare Orbán significa legittimare un uso politico della giustizia.

In Italia il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha preso posizione con prudenza ma chiarezza: «Non credo che la Salis sia una terrorista». Una formula diplomatica che segna comunque distanza dalla narrativa ungherese.

L’eco di Trump
Il modello è americano. Nel 2020 Donald Trump aveva annunciato la volontà di designare l’“Antifa” come organizzazione terroristica durante le proteste seguite all’uccisione di George Floyd. Allora l’FBI frenò, sottolineando l’assenza di una struttura organizzativa che giustificasse tale misura. Oggi, con Trump tornato alla Casa Bianca e un suo fedelissimo alla guida dell’FBI, la prospettiva è radicalmente diversa.

La questione di fondo
L’operazione politica è chiara: trasformare un’etichetta generica — “Antifa” — in un contenitore utile per colpire movimenti, collettivi e realtà della sinistra radicale. Negli Stati Uniti si è già visto con le campagne contro i movimenti pro Palestina nei campus. In Europa, Orbán e Wilders tentano di replicare la formula, riducendo gli spazi di agibilità politica per l’opposizione.

Il rischio è evidente: scivolare verso una criminalizzazione sistematica del dissenso. Il caso Salis diventa il banco di prova di questa deriva. L’Europarlamento dovrà decidere se difendere l’autonomia del mandato parlamentare o se piegarsi alle pressioni di un governo che ha scelto di trasformare la politica in vendetta.