Nel 2024 la spesa sanitaria sostenuta direttamente dai cittadini in Italia raggiunge i 41,3 miliardi di euro, pari al 22,3% della spesa sanitaria totale. Un dato preoccupante, che supera da dodici anni il limite del 15% raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità, soglia oltre la quale sono a rischio equità e accesso alle cure. In valore assoluto, la spesa out-of-pocket è cresciuta dai 32,4 miliardi del 2012, oscillando tra il 21,5% e il 24,1% della spesa complessiva.
A fornire questi numeri è la Fondazione Gimbe in occasione del 20° Forum Risk Management.«Con quasi un euro su quattro di spesa sanitaria a carico delle famiglie – spiega il presidente Nino Cartabellotta – ci troviamo oggi davanti a un servizio sanitario misto, senza che alcun Governo lo abbia mai esplicitamente previsto». Tuttavia, osserva Gimbe, la spesa privata non è più un indicatore affidabile di mancate tutele pubbliche, poiché è sempre più limitata dall’impoverimento delle famiglie: le rinunce alle prestazioni sanitarie sono passate da 4,1 milioni nel 2022 a 5,8 milioni nel 2024.
Povertà e limiti della spesa privata
Secondo l’Istat, nel 2024 ben 5,7 milioni di italiani vivono sotto la soglia di povertà assoluta e 8,7 milioni sotto quella relativa. Questo vincola naturalmente la crescita della spesa privata. Dal Sistema tessera sanitaria emerge che, nel 2023, dei 43 miliardi di spesa sanitaria privata, 12,1 miliardi sono stati destinati alle farmacie, 10,6 miliardi ai professionisti (di cui 5,8 miliardi odontoiatri e 2,6 miliardi medici), 7,6 miliardi al privato accreditato con il Ssn, 7,2 miliardi al privato “puro” e 2,2 miliardi al Servizio sanitario nazionale come retribuzione della libera professione. Cartabellotta sottolinea che «la privatizzazione della spesa sta progressivamente escludendo i cittadini dalle tutele pubbliche».
L’esplosione del privato “puro”
Un fenomeno significativo riguarda il privato non convenzionato: strutture prevalentemente di diagnostica ambulatoriale che forniscono prestazioni senza rimborso pubblico. Tra il 2016 e il 2023, la spesa delle famiglie per questo segmento è aumentata del 137%, da 3,05 miliardi a 7,23 miliardi, con un incremento medio di circa 600 milioni l’anno.
Parallelamente, la spesa per il privato accreditato è cresciuta solo del 45%, riducendo drasticamente il divario tra privato “puro” e privato convenzionato, passato da 2,2 miliardi nel 2016 a soli 390 milioni nel 2023. «Mentre il dibattito pubblico si concentra sul privato convenzionato, i dati mostrano l’impennata della spesa out-of-pocket verso il privato-privato», spiega Cartabellotta. Chi può permetterselo cerca soluzioni al di fuori delle tutele pubbliche, spesso come unica alternativa alle lunghe liste d’attesa.
I “terzi paganti” e la sanità integrativa
Il panorama della spesa privata è sostenuto anche da fondi sanitari, casse mutue, assicurazioni e altre realtà non profit, che nel 2024 hanno speso 6,36 miliardi, con un aumento di oltre 2 miliardi dal periodo post-pandemia. Cartabellotta evidenzia che questi strumenti, in parte defiscalizzati, contribuiscono a una privatizzazione indiretta, dirottando risorse pubbliche verso soggetti privati. Tuttavia, la sanità integrativa può funzionare solo se supporta un sistema pubblico forte: «Se sostituisce le carenze del Ssn, rischia di collassare insieme a esso».In parallelo, cresce l’interesse di investitori privati, assicurazioni e gruppi bancari, attratti dalla redditività del settore sanitario. Cartabellotta avverte: senza regole chiare, l’ingresso dei capitali rischia di privilegiare profitti a scapito della tutela della salute pubblica, creando un “secondo binario” esclusivamente destinato a chi può pagare.
L’allarme di Gimbe
«In questo scenario – conclude Cartabellotta – parlare di integrazione pubblico-privato è ormai anacronistico. Se l’Italia non considera più prioritaria la salvaguardia di un Ssn pubblico, equo e universalistico, la politica dovrebbe dichiararlo apertamente e gestire la privatizzazione con rigore, invece di lasciarla correre libera».
Le proposte
Secondo Gimbe, invertire la rotta è ancora possibile attraverso:
- un consistente rilancio del finanziamento pubblico;
- un paniere di Livelli essenziali di assistenza compatibile con le risorse disponibili;
- un secondo pilastro realmente integrativo, che non dirotti fondi pubblici verso il profitto privato;
- regole chiare e governance trasparente nei rapporti pubblico-privato.
Solo così, sottolinea la Fondazione, il Ssn potrà garantire il diritto alla salute a tutti i cittadini, indipendentemente da reddito, residenza o condizioni socio-culturali, evitando disuguaglianze inaccettabili.
La privatizzazione non è un progetto dichiarato, ma un processo spontaneo e quotidiano, proporzionale all’indebolimento del SSN. Il risultato? Un sistema “misto” mai programmato che trasforma i diritti in privilegi.


