Pensioni. Che fine ha fatto la ‘proposta Durigon’?
Da qualche tempo il dibattito sulle pensioni sembra essersi dissolto nel silenzio generale. Governo, opposizioni, sindacati e media sembrano impegnati altrove. Nel frattempo, la Legge Fornero rimane intatta, come una gigantesca muraglia mai davvero scalfita da anni di slogan, promesse e misure-tampone che hanno prodotto più confusione che cambiamento strutturale. Non è una novità: il sistema previdenziale italiano, perennemente in bilico tra sostenibilità finanziaria e giustizia sociale, viene affrontato quasi sempre in chiave emergenziale, senza visione di lungo respiro.
In questo contesto è caduta nell’oblio anche la 'proposta Durigon'.
Per settimane e addirittura per mesi si è parlato con insistenza di una specie di mini riforma delle pensioni che avrebbe portato molti contribuenti a poter lasciare il lavoro a 64 anni. La misura era quella proposta da Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro con delega alla previdenza, e sembrava quella giusta. Perché parliamo al passato? Perché nel testo della legge di Bilancio niente è stato prodotto al riguardo. Ma davvero niente, neppure una virgola. Perché non solo non c’è traccia di questa misura. Ma non c’è traccia nemmeno di altre misure che avrebbero dovuto favorire i pensionamenti anticipati.
Claudio Durigon aveva avanzato una proposta che prevedeva, su base volontaria, la possibilità di utilizzare parte del proprio TFR per accedere alla pensione a 64 anni con 25 anni di contributi. Un’idea nata come via intermedia tra quota 103, Opzione Donna e gli altri strumenti che già conosciamo, pensata per dare una risposta a chi non vuole o non può permettersi di aspettare i 67 anni e 3 mesi previsti dalla vigente normativa.
La proposta aveva suscitato reazioni contrastanti.
Da un lato, sembrava la conferma di una tendenza crescente: scaricare sempre più sul lavoratore il rischio e il costo dell’anticipo pensionistico. Il TFR, dopotutto, nasce come risparmio differito, una sorta di paracadute economico pensato per sostenere fasi delicate della vita lavorativa e del pensionamento. Utilizzarlo come leva obbligata per anticipare l’uscita rischia di svuotare proprio quel margine di sicurezza, trasformando un diritto in una scelta dettata dalla necessità.
Dall’altro lato, molti avevano visto nella proposta una luce in fondo al tunnel, un tentativo di riconoscere un dato di realtà: ci sono lavoratori che non ce la fanno ad arrivare a 67 anni e il sistema pubblico, così com’è, non è in grado di rispondere in modo adeguato. Per questi cittadini, la possibilità di scegliere poteva rappresentare un’opportunità concreta, soprattutto se abbinata a garanzie e correttivi che evitano di ritrovarsi con assegni troppo bassi.
Il punto non è se la proposta Durigon sia giusta o sbagliata. Il punto è che è sparita dal dibattito pubblico senza alcuna spiegazione chiara. Questo silenzio è il vero problema: è il segno che la questione pensionistica viene trattata come terreno scivoloso da evitare, non come una priorità da affrontare.
La riforma delle pensioni non può essere una bandiera elettorale né un tema da riaccendere in campagna elettorale, solo quando serve consenso. Occorrono scelte trasparenti, sostenibili e giuste. Servono tavoli veri con sindacati e parti sociali.
Il dibattito va riaperto. Non per resuscitare slogan, ma per fare finalmente politica: decidere in che paese vogliamo vivere e in che paese vogliamo invecchiare. Perché la Legge Fornero non è un destino inevitabile. È una scelta della politica e del governo. E come tutte le scelte può essere cambiata, migliorata, integrata. Basta volerlo davvero.