La mafia tende a sparare meno e a spargere meno sangue, ma non per questo è meno insidiosa, perché contamina le istituzioni pubbliche e le principali stazioni appaltanti. La mafia tende a inquinare i meccanismi della vita istituzionale.

Parole nette, quelle del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che fotografano con lucidità una realtà che da tempo non si manifesta più con il rombo degli esplosivi o il fragore delle armi da fuoco. La mafia, oggi, non ha bisogno di uccidere per dominare. Non ha bisogno di farsi vedere per esercitare il suo potere. Non più. Perché si è trasformata, è diventata sistema, mimetizzandosi nei gangli dello Stato, nei meccanismi della pubblica amministrazione, nei bilanci delle imprese e delle società partecipate.

È questa la sua evoluzione più insidiosa: non più criminalità visibile, brutale, da combattere con operazioni di polizia e task force militari, ma un'infiltrazione silenziosa e persistente, una presenza che contamina le istituzioni, avvelena l’economia, distorce le regole del gioco democratico.

Camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra non hanno più bisogno della lupara: oggi maneggiano codici appalti, delibere comunali, si siedono ai tavoli dove si decidono le grandi opere, influenzano scelte politiche.

Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel giorno del 33° anniversario della strage di Capaci, richiamano la necessità di riconoscere questa metamorfosi e affrontarla con un rinnovato impegno civile: “La mafia ha subìto colpi pesantissimi, ma all'opera di sradicamento va data continuità, cogliendo le sue trasformazioni, i nuovi legami con attività economiche e finanziarie, le zone grigie che si formano dove l'impegno civico cede il passo all'indifferenza”.

Ecco il punto: le zone grigie. Quei territori di nessuno dove lo Stato arretra e le cosche avanzano. Dove l’indifferenza, l’apatia e la rassegnazione diventano i migliori alleati della criminalità organizzata. È lì che si gioca oggi la partita decisiva: nei comuni sciolti per mafia, negli enti locali infiltrati, nei consigli di amministrazione inquinati da interessi occulti, nei rapporti perversi tra politica, affari e criminalità.

Falcone ripeteva: “La mafia, come ogni fatto umano, ha avuto un inizio e avrà anche una fine”. Ma quella fine non arriverà per consunzione naturale. Va costruita, giorno per giorno, con coerenza, vigilanza, educazione e responsabilità collettiva. La cultura della legalità non è un concetto astratto da evocare nelle commemorazioni, è una pratica quotidiana, un impegno civile che deve coinvolgere tutti, a partire dalle nuove generazioni.

Oggi la mafia non fa saltare in aria le autostrade. Oggi inquina le gare d’appalto, falsifica i bilanci, stringe patti con funzionari infedeli, finanzia campagne elettorali. È meno 'rumorosa', ma non per questo meno pericolosa. È proprio questa la sua forza: passare inosservata, sembrare parte del sistema, finché quel sistema non diventa essa stessa mafia.

Non possiamo abbassare la guardia. Non dobbiamo illuderci che la fine delle stragi equivalga alla sconfitta delle mafie. Al contrario, è proprio ora che dobbiamo essere più vigili, più rigorosi, più presenti. Perché quando la mafia non spara, allora vuol dire che dobbiamo preoccuparci ancora di più, perchè la democrazia è ancora più a rischio.