Il modo di dire popolare “Oltre al danno la beffa” è più che mai azzeccato riguardo la triste vicenda di Sergio Lopresti, il quale sta attraversando un periodo a dir poco allucinante sia per le vessazioni in campo lavorativo, settore marittimo, con l’azienda, con cui collaborava, che lo ha inspiegabilmente licenziato, sia per essere anche destinatario d’una denuncia penale per diffamazione suscitando in lui, come in qualsivoglia persona vittima di soprusi ed iniquità, una sensazione d’ingiustizia, specialmente quando, dopo aver già affrontato una difficoltà, si viene colpiti da un evento, che aggrava ulteriormente la propria situazione. “Questa vicenda giudiziaria, che ha stravolto la mia vita professionale e personale, si è sviluppata in un momento per me particolarmente delicato: da poco avevo segnalato alcune presunte irregolarità interne alla società, per cui lavoravo, convinto che fosse legittimo tutelare la correttezza dei processi e la trasparenza nei confronti dei lavoratori. Mi sarei aspettato attenzione, ascolto e senso di responsabilità da parte degli enti preposti ai controlli; invece, mi sono trovato di fronte ad un clima, che ho percepito come sorprendentemente accomodante nei confronti dell’azienda e molto meno attento alla tutela di chi, come me, svolgeva semplicemente il proprio lavoro. – è la chiosa di un mesto Sergio Lopresti – Il risultato è stato paradossale: proprio, mentre cercavo di segnalare criticità e comportamenti, che ritenevo poco chiari, mi sono ritrovato licenziato per giusta causa, mentre ero a casa in congedo parentale, coinvolto in un procedimento penale, che vivo come totalmente ingiusto e che nasce da una circostanza: quella del contratto a tempo indeterminato part-time mai firmato risalente a quando avevo 18 anni durante il periodo scolastico, di cui ero completamente ignaro.

Mi ritrovo oggi a dover difendere la mia integrità per fatti, che non dipendono da me, e questo dopo anni di servizio svolto con impegno, serietà e rispetto delle regole. Nella mia vicenda c’è un elemento, che ritengo doveroso evidenziare: a seguito dei controlli INPS del 2023, diversi lavoratori si sono trovati nella stessa identica situazione amministrativa. Eppure, soltanto nei miei confronti è stata avviata un’azione, che ha assunto i toni della punizione esemplare, mentre per tutti gli altri la questione è stata risolta in modo ben più rapido e indolore. Ritengo importante che episodi, come questo, accendano un faro su quanto sia necessario garantire controlli efficaci, imparziali e realmente orientati alla tutela dei lavoratori. Nessuno dovrebbe trovarsi esposto a conseguenze così pesanti per colpe non proprie o per mancanze amministrative altrui. Confido che la verità emergerà e venga riconosciuta la mia totale buona fede; però specialmente spero che questa vicenda contribuisca a rafforzare la cultura della trasparenza, perché un sistema, che non tutela chi segnala irregolarità, è un sistema, che finisce per indebolire tutti”.

Vivo è il suo senso oggettivo d’impotenza avvertendo nel suo animo l’inadeguatezza a rimediare, cui si aggiunge l’impressione soggettiva di frustrazione a causa dello scoramento e della delusione verso le calamità, che sembrano ammassarsi. L’affermazione che la vita è il bene più prezioso è un assioma, il quale giammai ammette prova contraria e soprattutto è compito di tutti tutelarla in ogni ambito e forma. La responsabilità prioritaria di ogni lavoratore è quella di rispettare le regole poste a loro tutela e soprattutto esigere che queste siano rispettate da chi esercita nei loro confronti un potere direttivo costituendo questo un principio non negoziabile, perché è in gioco il tema della centralità della persona.

È il datore di lavoro il soggetto, che più di tutti deve considerare la sicurezza nel luogo di lavoro non come un mero adempimento; ma come una responsabilità comune e un dovere sociale. Un ruolo importante inoltre deve essere esercitato dalle istituzioni e dalle parti sociali, che debbono vigilare e innanzitutto produrre e proporre una cultura della sicurezza. La vita non si tutela col conflitto; ma col confronto, perché la sicurezza non deve diventare una battaglia o una bandiera di una sola parte: questa sarebbe una vera sconfitta culturale e sociale. Soltanto con l’integrazione tra i valori, come la dignità umana e diritto alla salute, con i metodi, come la partecipazione e l’agire responsabile, si potrà vincere questa battaglia di civiltà riconoscendo i lavoratori nella loro dignità e libertà.